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Quel peso insostenibile sulle spalle dei lavoratori

I dati analizzati dall’Istat per il 2016 hanno evidenziato l’aumento dell’aspettativa di vita, rispetto al 2013, rafforzando l’ipotesi di cui si parla da qualche tempo in merito all’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni. La speranza di vita dopo i 65 anni, cioè il tempo che in media ci resta da vivere superata quella soglia, secondo i dati del 2016 è di 20 anni e 7 mesi, rispetto al 2013 l’incremento regi-strato è di cinque mesi. Sulla base dei nuovi dati, il governo cui compete la decisione, con decreto e senza alcuna discussione parlamentare, potrebbe fissare la nuova soglia dell’età pensionabile a 67 anni dal 2019, esattamente cinque mesi in più rispetto a quanto previsto oggi.
Ciò premesso, penso che la vita dei cittadini non possa e non debba essere legata esclusivamente a numeri, dati statistici o economici, perché questo tipo d’impostazione sul piano oggettivo e concettuale annichilisce il valore dell’esistenza di ogni persona. Governo, Parlamento, parti sociali, mondo dell’impresa e dell’economia, devono lavorare per trovare soluzioni diverse rispetto all’innalzamento automatico dell’età pensionabile, il perverso sistema che è stato costruito deve essere corretto. Il nostro sindacato ha già dichiarato la propria contrarietà a qualsiasi ipotesi di aumento dell’età pensionabile e, unitamente a tutto il mondo sindacale, da qualche tempo fa pressione sul mondo politico affinché sia modificato il meccanismo previsto dalla legge. Il tema di cui discutiamo, fa emergere con chiarezza il preoccupante scenario per le giovani generazioni, considerati, tra l’altro, gli effetti nefasti dell’ultimo decennio, caratterizzato dalla gravissima crisi produttiva, economica, di sistema e valori.
Un quadro d’insieme che ha contribuito ad aggravare ulteriormente l’ingresso nel mondo del lavoro dei nostri giovani, i quali se sono fortunati trovano lavoro a 30 anni. Stando così le cose, in futuro si potrà andare in pensione a 73 anni, se si vorrà usufruire di una pensione che garantisca una sopravvivenza al limite della dignità. Infatti, per accedere alla pensione di anzianità rispetto a quella di vecchiaia, dal 2019 potrebbero essere necessari 43 anni e tre mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne, conseguenza del meccanismo normativo che collega il diritto ad andare in pensione all’aumento dell’aspettativa di vita oltre i 65 anni.Oggi per l’uscita anticipata dal mondo del lavoro, sono necessari 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne, una follia specie per particolari categorie di lavori e professioni, tra cui la nostra. Il meccanismo di calcolo che fa riferimento alle variazioni della speranza di vita nell’ultimo triennio, è stato previsto dalla L.111/2011, dall’ultimo Governo Berlusconi – Lega. Se il Governo applicherà l’automatismo senza nuovi approfondimenti e valutazioni, per andare in pensione in anticipo rispetto all’età di vecchiaia dal 2019 saranno necessari 43 anni e tre mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne, effetto dei nuovi dati sulla speranza di vita, l’aumento sarebbe di cinque mesi. Un quadro d’insieme assolutamente insostenibile per i lavoratori, sulle cui spalle non può gravare il peso degli errori, dell’incapacità e disfunzioni causate dalla decadenza morale e mala gestione della cosa pubblica, oltre che dal deprecabile profilo etico di molti protagonisti della vita economica e politica degli ultimi quarant’anni.

di GIUSEPPE TIANI

Fonte: SABATO 28 OTTOBRE 2017, 00:02, IN TERRIS

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