Lavoro, il referendum inutile
Il tema dei voucher continua a far discutere: dopo l’ok della Corte Costituzionale all’ammissibilità del referendum, il calcolo dei promotori sembra molto rivolto sulla influenza che dibattito e chiamata alle urne può avere sul terreno politico, più che su quello delle politiche del lavoro e delle relazioni industriali.
Infatti la sinistra tosta, nell’attuale situazione di ristrutturazione della legge elettorale, riprende a suonare i vecchi tamburi della avversione, senza se e senza ma, alle riforme del lavoro, per fortificare vecchie identità utili a ridefinire partiti ed aggregazioni, in vista della prossima competizione elettorale politica.
È una storia lunga e spesso dolorosa quella della radicale posizione rivolta alla immutabilità delle regole del lavoro, nonostante si sia di fronte a contesti totalmente modificati dalla nuova divisione internazionale del lavoro, dalle tecnologie digitali, da nuove culture ed abitudini dei cittadini. Il Referendum, come noto, si poteva evitare. Imprenditori, molti rappresentanti di Cisl e Uil e buona parte della politica, avevano già fatto conoscere la loro propensione a tornare alla originaria regolamentazione per rimuovere le correzioni apportate successivamente ai voucher, che in verità hanno consentito abusi e comunque snaturamento della loro funzione originaria, risolvendo l’uso distorto avvenuto soprattutto in edilizia ed in agricoltura, dove sono usati anche per periodi lunghi di lavoro. Sarebbe bastato un accordo tra le parti sociali, subito assunto come base per una revisione legislativa in Parlamento e ci saremmo risparmiati la spesa considerevole per l’allestimento delle operazioni di voto, molto onerose per l’esausto bilancio dello Stato, e di subire un dibattito politico lontano da temi certamente più decisivi per il futuro dell’Italia. È davvero patologico ricorrere ad un referendum e autorizzarlo, su un tema che in un Paese normale è gestito semplicemente dalla contrattazione tra parti sociali.
Quanto alla utilità dei voucher non ci sarebbe neanche tanto da discutere. Tutte le forme di lavoro occasionale ne hanno beneficio. Il ricorso delle famiglie, per qualche giornata, a baby sitter, per persone invalide, ad esempio per banchetti che richiedono inservienti e camerieri in più solo per un giorno, lavori di aiuto alle famiglie per le esigenze più disparate per la casa, per il giardino, per altre circostanze. In caso di abolizione di voucher, in questi casi ed altri, si ritiene giusto attivare procedure di assunzione tradizionale solo per un giorno o per qualche ora? E poi perché negare la libertà a studenti, lavoratori attivi, pensionati ancora prestanti, di poter guadagnare qualche soldo- in modo trasparente e legale – per arrotondare il proprio bilancio? Occorrerebbe protestare per l’uso abnorme dell’istituto referendario e per la spesa che ne consegue. Le parti sociali, ad esempio, potrebbero protestare in modo nuovo e responsabile, dando vita ad un accordo sui voucher orientati solo ai lavori occasionali con risposte consone e responsabili. Sarebbe un modo importante per partecipare alla inevitabile discussione elettorale referendaria, ma sarebbe anche un modo per riappropriarsi del proprio ruolo, messo in difficoltà dal tranciante ricorso alle urne.
di Raffaele Bonanni In Terris 1 febbraio 2017